Disturbi alimentari (Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione)

A chi non è mai capitato di guardarsi allo specchio e di vedersi “uno schifo”? Chi non ha mai detto o anche solo pensato “oddio…mi sento davvero grassa/o…ora basta…da domani devo assolutamente mettermi a dieta”?

Essere insoddisfatti del proprio corpo è un’esperienza del tutto normale e molto comune. Le emozioni che proviamo e che spesso etichettiamo come negative (quali l’ansia, la rabbia, la vergogna, la colpa e molte altre), così come i pensieri che ci passano per la testa, sono capaci di influenzare anche il modo nel quale ci vediamo riflessi nello specchio. Ed è anche per questo motivo che quando non stiamo bene, quando “sentiamo male e pensiamo male”, finiamo spesso per vederci anche male.

La relazione tra cibo ed emozioni è un labirinto inestricabile in cui possono perdersi anche i terapeuti più esperti.

E allora forse è utile chiedersi

“cos’è che porta da una normale insoddisfazione per il proprio corpo allo sviluppo di un disturbo alimentare”?

Ognuno di noi stima il proprio valore personale e, quindi, la propria autostima a partire da “come gli vanno le cose” in vari domini di vita: la scuola, il lavoro, la famiglia, il partner, gli amici, gli hobby e…l’aspetto fisico! È del tutto normale che ad ognuno di noi piaccia sentirsi bene e vedersi bene (anche fisicamente) ed è altrettanto sano dedicare del tempo alla cura del proprio corpo.

Ma quando l’attenzione che dedichiamo al nostro aspetto fisico diventa così pervasiva da schiacciare gli altri domini…quando il solo modo per essere brave/i ed amabili passa attraverso il controllo che riusciamo ad esercitare su peso, forme corporee ed alimentazione…allora iniziano a svilupparsi questi problemi.

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QUALI SONO LE CAUSE?

Non è possibile identificare una sola causa responsabile dell’insorgenza di un disturbo alimentare: questi disturbi si sviluppano e si mantengono a causa di molteplici fattori di rischio, precipitanti e di mantenimento.

Tra i fattori di rischio generale possiamo elencare il sesso femminile, l’età adolescenziale e l’appartenere ad una società occidentale. Questi fattori di rischio non sono modificabili e aumentano in generale il rischio di sviluppare un disturbo.

Tra i fattori di rischio specifici (presenti solo nei disturbi alimentari) rientrano invece il rischio di fare diete e la presenza in anamnesi di disturbi dell’alimentazione in famiglia.

Sono riconosciuti come fattori precipitanti alcuni eventi positivi o negativi occorsi anche un anno e mezzo prima dell’insorgere del sintomo. Tra questi possiamo trovare problematiche interpersonali, lavorative o scolastiche, i frequenti e ripetuti tentativi di intraprendere delle diete, ma anche l’inizio di una relazione, la nascita di un figlio, una promozione sul posto di lavoro etc.

Infine, si strutturano come fattori di mantenimento la tendenza a valutare il proprio valore personale a partire dal controllo che si riesce o meno ad avere sul peso, sulle forme e sull’alimentazione, la preoccupazione per le forme corporee, il peso ed il cibo, il pensiero dicotomico (del tipo 0 o 100, tutto o nulla), l’ostinazione di voler tenere il peso corporeo al di sotto di quello che sarebbe naturale in base all’età e all’altezza, la dieta ferrea (caratterizzata dal saltare pasti, ridurre porzioni, eliminare alcuni cibi), il digiuno, l’esercizio fisico eccessivo, le abbuffate, il vomito autoindotto, l’uso di lassativi e/o diuretici, il body checking e gli evitamenti legati all’esposizione del corpo.

Esistono anche dei fattori di mantenimento ancora più specifici di chi sviluppa un disturbo alimentare come ad esempio il perfezionismo clinico, la bassa autostima nucleare, l’intolleranza alle emozioni ed i problemi interpersonali.

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QUALI SONO?

Nella sezione “Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione” (feeding and eating disorders) il DSM-5 elenca ora sei categorie diagnostiche principali più due residue e indica i criteri che, secondo l’American Psychiatric Association, devono essere soddisfatti per poter applicare le varie diagnosi: “Le due categorie residue sono destinate ad accogliere le sindromi parziali o sottosoglia e altre forme di rapporto problematico con il cibo”.

Nel DSM-5 sono stati forniti criteri diagnostici per i seguenti disturbi alimentari: la Pica, il Disturbo da Ruminazione, il Disturbo Evitante/Restrittivo dell’assunzione di cibo, l’Anoressia Nervosa, la Bulimia Nervosa, il Binge Eating Disorder (Disturbo da Abbuffate Incontrollate). Le due categorie residue sono quelle dei Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione con altra specificazione e quelli senza specificazione.

I disturbi alimentari sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti connessi all’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano in modo significativo la salute fisica o il funzionamento psicologico e sociale di chi ne soffre.

Alcuni studi ritengono che le categorie diagnostiche tradizionali non descrivano in modo adeguato ciò che nella clinica si riscontra e suggeriscono che tali categorie siano un artefatto e che i disturbi alimentari siano manifestazioni diverse di un’unica psicopatologia specifica.